L’intelligenza artificiale e il valore dell’essere umano – di Antonella Di Biase

Ricordo la copertina del 33 giri dei Rondo’ Veneziano di una trentina d’anni fa o poco più: raffigurava robot musicisti su una gondola nel Canal Grande di Venezia. Gran bel vinile, o almeno lo è per gli amanti del genere, ma io da bambina guardavo a quella copertina con un certo timore: che fine aveva fatto l’essere umano? Significava che all’arrivo di quel fantomatico anno 2000 le macchine avrebbero preso il sopravvento? Per fortuna non è andata così, ma oggi, nel 2025 ci troviamo a discutere di un tema, quello dell’intelligenza artificiale, che un po’ mi riporta alla mente quel ricordo.

Ora, che ci piaccia o no, il futuro che ci si prospetta è quello di una sempre maggiore digitalizzazione atta ad efficentare processi e procedure, ottimizzare i costi e semplificare il lavoro (o almeno si spera).

La domanda che mi pongo è però la seguente: quanto è intelligente questa intelligenza artificiale?

Perché, vedete, quello che un processore, un software o un programma non potranno mai avere è l’empatia, la capacità di emozionarsi per emozionare, di comprendere lo stato d’animo altrui e di trovare la giusta chiave di lettura di un comportamento, al fine di instaurare una relazione sana e proficua al tempo stesso. E se vi state chiedendo cosa c’entri l’empatia con l’intelligenza, vi rispondo che c’entra eccome, perché sta nell’intelligenza dell’essere umano capire quando è il momento di proporre, di rischiare, di esser prudenti, di attendere. Sta nell’intelligenza dell’essere umano consigliare un investimento che non sia solo una gestione passiva parametrata ad un indice, ma che sia frutto delle reali esigenze e possibilità di quel cliente, della sua storia finanziaria e, perché no, anche di quella umana e familiare.

Quello che sto cercando di dire è che, per quanto si possa arrivare ad ambire alla macchina perfetta, questa macchina ha necessariamente bisogno dell’uomo alla guida, e guai a far diventare l’uomo strumento della macchina, altrimenti sì che quella copertina dei Rondò Veneziano diverrebbe realtà: tutti i concerti sarebbero uguali, senza più passione nell’accarezzare le corde di un violino, solo una fredda e perfetta tecnica di esecuzione.

Oggi più che mai il sindacato fa sentire la sua voce per riaffermare il ruolo professionale e sociale di noi bancari.

Politiche aziendali che prevedono la mera riduzione dei presidi fisici di filiale e la sostituzione della componente umana con supporti esclusivamente tecnologici rischiano di far scadere la qualità del servizio e, parimenti, rischiano di snaturare quello che la banca ha rappresentato per ogni singolo territorio: presidio di legalità, custode dei risparmi e strumento sano per l’erogazione del credito*.

E guardare così indietro non è da nostalgici, ma da lungimiranti.

Il sindacato valorizza e difende il patrimonio umano: noi siamo ricchezza, ognuno di noi, speciale a suo modo.

Ben venga l’intelligenza artificiale a servizio dell’uomo, ma torniamo a credere nell’essere umano.

 

 

 

* vedasi la campagna Uilca “Chiusura Filiali? No, grazie!”, contro la desertificazione bancaria, che nel 2023 ha attraversato in modo itinerante i comuni italiani più colpiti dal fenomeno.